Giuseppe Sbriglio

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La bella politica del buon esempio

Abbiamo appena approvato il bilancio del Comune di Torino. In questo difficile momento, il Paese così come la Città, stanno chiedendo ai cittadini grossi sacrifici: non sono più tempi di facili promesse, la politica deve concentrarsi a evitare il fallimento e, per il nostro Comune, questo si concretizza nel contenere il debito e mantenere gli standard qualitativi nei servizi essenziali e nella difesa del welfare. Una cosa manca sovente alla politica e a volte anche nella nostra realtà: il buon esempio. Anche se in alcuni casi il buon esempio non incide fortemente sui bilanci, aiuta a combattere la sfiducia nella politica. Un dipendente comunale, magari anche laureato, che guadagna poco più di 1000 euro al mese, come può fare con serenità il proprio lavoro se c'è chi guadagna quasi venti volte più di lui senza titolo, ma solo per aver fatto gavetta alla corte di un potente? Gli studenti del Politecnico o di Economia come possono comprendere che si viene nominati nelle aziende strategiche che dipendono dalla Città solo per logiche preistoriche? Non aspettiamo solo i decreti del governo o le sentenze della magistratura per cambiare le cose: diventiamo noi i primi artefici del cambiamento. Non sono grandi sogni ma fatti concreti e possibili affinché ci si possa svegliare un giorno con uno Stato che può volgere lo sguardo al futuro con speranza e con una Torino che non guarda solo al mondo ma è anche ammirata, con forte interesse, da tutti!.

Giuseppe Sbriglio

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Ennesima sentenza di merito favorevole ai docenti precari del comparto scuola!

Come è purtroppo noto nel mondo della scuola migliaia di docenti precari vengono di anno in anno assunti alle dipendenze del ministero con contratti a tempo determinato che generalmente hanno la stessa durata dell’anno scolastico (da settembre a giugno) frutto di una scelta programmatica dell’amministrazione in un’ottica contenitiva dei costi.

Il loro inquadramento, infatti, è assai differente da quello dei Colleghi a tempo indeterminato in quanto il sistema di reclutamento a termine esclude gli avanzamenti in carriera ed i conseguenti aumenti salariali.

Il Giudice del lavoro di Ivrea, con sentenza del giugno 2012, ha tuttavia riconosciuto e confermato il diritto dei docenti assunti con contratto a termine di vedere equiparata la propria posizione retributiva con quella dei colleghi assunti a tempo indeterminato.

Ciò in base a quanto previsto dalla direttiva 1999/70/CE del 28/06/1999 secondo la quale i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato.

Ma non è tutto!

La lavoratrice precaria ha, altresì, ottenuto il riconoscimento degli scatti di anzianità previsti dal CCNL del comparto scuola per i docenti in ruolo!

Pertanto, il MIUR non solo è stato condannato al pagamento delle differenze retributive maturate per tutti gli anni di lavoro effettuati in virtù degli avanzamenti di carriera che avrebbe maturato (ivi comprese quelle relative al periodo estivo per i mesi di luglio ed agosto!!), ma anche a riconoscere l’avanzamento di grado della docente.

L’esito favorevole della pronuncia è stato dettato anche dal fatto che lo studio legale che ha offerto la propria assistenza legale, ha deciso di adottare una ben precisa linea difensiva.

In buona sostanza non è stata domandata la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come avvenuto in moltissimi ricorsi non accolti, in quanto non consentita dal nostro ordinamento, ma, piuttosto, la semplice equiparazione retributiva per gli anni pregressi.

Questa pronuncia fa ben sperare tutti i docenti sin ora assunti con contratti a termine che sebbene non godano di una stabilità e certezza lavorativa non subiscano altresì un pregiudizio di natura economica.


AVV. GIUSEPPE SBRIGLIO  Presidente Adusbef Torino Associazione dei Consumatori

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Intervento sul bilancio 2012


Giuseppe Sbriglio (IdV): Ci accingiamo a votare un documento fondamentale, asse e fulcro di questa maggioranza. Il primo bilancio di questa tornata consiliare ci vede alle prese con la difficile situazione economica mondiale, ed è un bilancio che dovrà preoccuparsi di ridurre il debito e continuare a garantire i servizi. La cruda realtà che stiamo attraversando va ben oltre la cinta daziaria, oltre i confini nazionali per poi ripercuotersi sul nostro territorio. Decisioni difficili ci aspettano nei prossimi mesi per tradurre nella pratica quello che questo bilancio ci indica: far quadrare i conti e cercare di mantenere i servizi che storicamente la nostra città ha garantito. La difesa del welfare prima di tutto.

Per questo voteremo responsabilmente le delibere sul Bilancio e sull’IMU anche se vorremmo fossero diverse. Colpire le tasche dei torinesi non è il nostro sport preferito. Le aliquote dell’IMU e la discussione sugli asset della città non sono il sogno della grande Torino. Il sogno della grande Torino è uscire da questa crisi con una città vivibile dove la gente lavora, paga le imposte che rimangono sul territorio per contribuire alla qualità dei servizi. Una città dove vale la pena far crescere i propri figli, dove un giorno potremo vedere i colori della pelle mischiarsi, avere un sindaco donna o magari con la pelle scura.

Credo infine che ci si offra una grande opportunità: i tempi di crisi portano spesso l’occasione per crescere. L’oculatezza nelle spese, i tagli delle spese inutili, la razionalizzazione delle risorse non devono rimanere una necessità del momento ma rimanere una scelta prioritaria anche quando i tempi torneranno migliori. E la politica deve dare l’esempio, solo così guadagneremo non solo il consenso ma, soprattutto, la fiducia dei nostri concittadini.

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GESTIONE DEI SERVIZI COMUNALI CON PERSONALE DIPENDENTE

La Sala Rossa impegna la Giunta a un approfondimento sulla questione della gestione diretta dei servizi comunali, oggi esternalizzati. Lo fa approvando una mozione all’unanimità (sottoscritta dal consigliere dell’Idv, Giuseppe Sbriglio) che chiede di verificare la convenienza, in prospettiva pluriennale, della gestione diretta di servizi oggi affidati all’esterno.

Il testo della mozione afferma: “Il Comune di Torino annovera tra i suoi quasi 11.000 dipendenti moltissime professionalità… Modulando eventuali maggiorazioni di stipendio si potrebbe garantire, attraverso l’uso di personale dipendente, la gestione diretta di numerosi servizi quali, ad esempio, le aree verdi, le piscine, il Conservatorio, i musei e molti altri. Una gestione che potrebbe essere garantita con un costo complessivo minore per la città.

L’iniziativa della Sala Rossa impegna la Giunta a emanare un bando interno per la ricerca di queste professionalità. E a reperire risorse finanziarie per garantire ai dipendenti impiegati in tali mansioni un’indennità aggiuntiva, creando un fondo che non dovrà essere superiore al 70 per cento dell’attuale costo pagato dal Comune di Torino per affidare a un soggetto esterno il medesimo servizio.

R.T. - Ufficio stampa del Consiglio comunale Add a comment

Vittime di reato violento Info Avv. Giuseppe Sbriglio 0110866270

CORTE D’APPELLO DI TORINO, SEZ. III - 23 GENNAIO 2012, N. 106

 

LA CORTE CONFERMA LA PRONUNCIA “STORICA” DEL TRIBUNALE DI TORINO

E CONDANNA LO STATO ITALIANO A RISARCIRE UNA VITTIMA DI REATO VIOLENTO

NELLA FATTISPECIE AFFRONTATA VIOLENZE SESSUALI

 

La sentenza del Tribunale di Torino n.3145/10 del 3 maggio 2010, resa
dalla Dott.ssa Roberta Dotta e già assurta agli onori della cronaca
nazionale, fu senz’altro una pronuncia storica, essendo la prima in
assoluto ad avere riconosciuto l’inadempimento dell’Italia per la
mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004,
relativa alla riparazione delle vittime di reato violento e la
conseguente responsabilità civile della Presidenza del Consiglio dei
Ministri.

La direttiva 2004/80/CE statuisce per tutti gli Stati UE il seguente
obbligo: “Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative
nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle
vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi
territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle
vittime” (art.12, paragrafo 2). In pratica, anche lo Stato Italiano
dovrebbe garantire ai cittadini ed agli stranieri, vittime di reati
intenzionali e violenti (omicidi dolosi, lesioni dolose, violenze
sessuali) commessi sul territorio italiano, un risarcimento (o,
perlomeno, un indennizzo) equo e adeguato, quando l’autore del reato
sia rimasto sconosciuto o si sia sottratto alla giustizia o, in ogni
caso, non abbia risorse economiche per risarcire la parte offesa, nel
caso di morte, i famigliari.

Come espressamente previsto dall’art. 18 della suddetta direttiva, il
legislatore italiano avrebbe dovuto: 1) attuare detto sistema entro il
1° luglio 2005; 2) attuare le disposizioni inerenti l’indennizzo in
questione nei casi transfrontalieri (cioè nel caso di straniero
rimasto vittima in Italia e di italiano vittima in uno Stato membro)
entro il 1° gennaio 2006. Lo Stato non si è ancora adeguato ed è ormai
l’unico nell’Unione Europea a non averlo fatto.

 

Peraltro, l’Italia non ha neppure ratificato la Convenzione europea
relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti (Strasburgo,
24 novembre 1983, entrata in vigore il 1° febbraio 1988), che, avendo
anticipato di molti anni la direttiva, prevede nello stesso senso,
che, se la riparazione non può essere interamente garantita da altre
fonti, lo Stato deve contribuire a risarcire sia coloro che hanno
subito gravi pregiudizi al corpo o alla salute causati direttamente da
un reato violento intenzionale (stupro compreso) e sia coloro che
erano a carico della persona deceduta in seguito a un tale atto.

Il caso approdato all’attenzione del Tribunale di Torino riguardava la
terribile esperienza vissuta da una giovanissima ragazza, la quale era
stata sequestrata, percossa e violentata per un’intera notte da due
ragazzi. I fatti criminosi erano stati accertati penalmente, sennonché
i due responsabili si erano resi latitanti nel corso del giudizio di
primo grado e comunque non avevano risorse economiche per risarcire i
danni riportati dalla ragazza.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri si era difesa sostenendo che:
la direttiva sarebbe stata attuata con il d.lgs. 9 novembre 2007 n.
204; l’ordinamento italiano già contempla dei sistemi di indennizzo,
ancorché solo per alcune specifiche categorie di vittime (quelle del
terrorismo e della criminalità organizzata, del disastro di Ustica,
della banda della uno bianca, dell’usura). Tuttavia, il Tribunale
aveva ritenuto come il d.lgs n. 204/2007 non avesse dato attuazione
alla direttiva: “nessuna norma di diritto interno riconosce … il
diritto al risarcimento per reati intenzionali violenti diversi da
quelli già regolamentati dallo Stato prima ancora dell’entrata in
vigore della direttiva”.

 

La Presidenza aveva altresì sostenuto che rientrasse nella
discrezionalità del legislatore nazionale stabilire per quali reati
intenzionali e violenti riconoscere l’indennizzo, di fatto affermando
di poter escludere la tutela di cui alla direttiva nei casi di
violenze sessuali, oltre che nelle ipotesi di omicidio doloso e
lesioni dolose non imputabili a terrorismo, mafia e criminalità
organizzata. Nondimeno, il Tribunale aveva rigettato anche questa
tesi, rilevando che la direttiva “non pare attribuire agli stati
nazionali di poter scegliere i singoli reati intenzionali violenti che
possono formare oggetto di risarcimento, ma anzi impone loro di
prevedere un meccanismo indennitario per tutti i reati intenzionali
violenti e dunque anche per i reati di violenza sessuale – reati
contro la persona di evidente natura violenta e intenzionale”.

Accertato così l’inadempimento dello Stato Italiano, il Tribunale,
applicando i consolidati principi sanciti dalla Corte di Giustizia e
dalla Cassazione in materia di responsabilità civile per mancata
attuazione di direttiva comunitaria, aveva condannato la Presidenza
del Consiglio a risarcire le “conseguenze morali e psicologiche”
subite dalla ragazza, liquidando in via equitativa la somma di €
90.000 e ritenendo che i pregiudizi, per essere risarciti, non
abbisognassero di un’istruttoria (stante le modalità con cui erano
stati commessi i fatti criminosi).

 

Contro questa sentenza aveva proposto appello la Presidenza del
Consiglio dei Ministri. In corso di giudizio era poi intervenuta, a
sostegno dell’inadempimento dell’Italia e della conferma della
sentenza di primo grado, la Procura Generale della Repubblica di
Torino, evidenziando nel suo atto di intervento (sottoscritto dal
Sostituto Procuratore Generale Fulvio Rossi) come la tesi sostenuta
dalla Presidenza finisse con il trasformare la direttiva in un “mero
guscio vuoto”, in primo luogo a tutto discapito delle persone
residenti in Italia.

 

La Sezione III civile della Corte d’Appello di Torino, con Presidente
e Relatore il Dott. Paolo Prat, confermando la pronuncia del Tribunale
e condannando la Presidenza del Consiglio, ha affermato la “diretta
applicabilità” della direttiva e concluso che “è certo che l’Italia
non ha stabilito un sistema di indennizzo per le vittime di violenza
sessuale e pertanto è inadempiente”.

La Corte ha altresì ritenuto nel caso al suo esame comprovata
l’impossibilità per la vittima di conseguire – condizione peraltro non
richiesta dalla Direttiva 2004/80CE- il risarcimento direttamente dai
due violentatori: “I due imputati si sono resi latitanti nel giudizio
di primo grado e tali sono rimasti nel giudizio di appello; non
risulta che abbiano mai espresso qualche forma di pentimento e offerto
un benché minimo risarcimento; non si vede che utilità pratica
potrebbe avere una causa civile proposta … contro di essi”.

 

Infine, la Corte, pur rilevando tutta la gravità del danno subito
dalla ragazza, ha ridotto il risarcimento a € 50.000, ritenendo
trattarsi di un indennizzo e non già di un risarcimento.

L’Avv. Giuseppe Sbriglio rileva: «La conferma da parte della Corte d’Appello
della responsabilità civile dello Stato italiano per l’inadempimento
della direttiva costituisce un precedente molto importante per la
ragazza e per molte altre vittime che non possono conseguire un
risarcimento dai responsabili. Tuttavia, permaneun’evidente differenza
fra l’Italia e gli altri Stati europei: ad oggi le vittime colpite sul
territorio italiano da reati violenti e intenzionali, commessi da
persone rimaste ignote o prive di risorse economiche,rimangono senza
un fondo statale cui rivolgersi; così, per ottenere quanto loro
garantito dalla direttiva 2004/80/CE, si trovano costrette a ricorrere
ai Tribunali, proprio come avvenuto nel caso deciso dai giudici
torinesi, dovendo pertanto affrontare un vero e proprio processo con
tutti i patemi conseguenti. Ciò rischia di comportare l’instaurazione
di un numero elevatissimo di processi civili contro la Presidenza del
Consiglio dei Ministri, con costi per lo Stato ed ulteriori aggravi
per le vittime in tutta evidenza evitabili, se solo il legislatore si
decidesse ad intervenire. Di conseguenza, non si può che auspicare
quanto prima una legge che dia concreta e seria attuazione alla
direttiva, evitando alla magistratura di dover sopperire alle carenze
del Governo e del Parlamento su questioni fondamentali per i
cittadini. Si spera che il Governo Monti prenda atto
dell’improrogabilità di questa legge».

 

 

Per Informazioni Avv. Giuseppe Sbriglio 0110866270 e mail Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

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